Accanto alle colture più ricche, un gruppo di agricoltori sciclitani ha custodito anche un fagiolo, il cosaruciaru (in dialetto “cosa dolce”) che si riconosce per via del suo colore bianco-panna con piccole screziature marroni intorno all’ilo. La sua coltivazione risale all’inizio del ’900, quando il cosaruciaru, detto anche “casola cosaruciara”, aveva il suo peso nell’economia agricola locale. Al tempo gli era riservata un’area speciale, le cannavate, fatta di terreni alluvionali, freschi e permeabili, localizzati lungo il torrente Modica-Scicli.
I coltivatori – detti ciumarari, da ciume (cioè fiume, in siciliano) – nel periodo del raccolto lo portavano
in città sui carrettini e lo vendevano ai negozianti locali ricavandone un buon prezzo. Allora si vendeva in grandi sacchi presenti in tutti i negozi di alimentari della città. Poi è quasi totalmente scomparso e solo alcuni affezionati contadini lo hanno coltivato nei propri orti per non perdere la possibilità di mangiarlo in una buona zuppa di verdure e cotiche.
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