La storia del grano
I derivati del frumento sono alla base della dieta mediterranea, soprattutto pane e pasta, emblema della cucina italiana. A memoria d’uomo in Italia si è coltivato e mangiato prodotti a base di grano, senza troppi problemi.
Sembra che il progenitore dell’attuale grano sia stato il triticum monococcum, un grano dalla spiga piccola e con uno scarsissimo contenuto di glutine, parente del farro.
Da questo si è passati al triticum dicoccum con spighe più grandi e quindi più redditizio per poi arrivare alle due varietà di grano tenero e duro, il triticum durum, che danno origine alle produzioni di farine, pane e altri derivati, il primo, e di pasta, il secondo.
I contadini ogni anno seminavano le loro sementi, ricavate dal raccolto precedente, ma all’inizio degli anni cinquanta, cominciarono a rifornirsi di semi prodotti industrialmente.
Il grano ha sempre avuto tra i suoi costituenti fondamentali una componente tossica, il glutine, con funzioni di riserva per la crescita del germe.
Il Glutine è una sostanza colloidale, formata da due proteine semplici la Gliadina e la Gluteina che conferiscono al seme un alto grado di collosità e favorisce l’aggregazione sua e l’elasticità dell’impasto.
La Gliadina è una proteina vegetale ricca di acido glutamminico, che risulta particolarmente irritante per le cellule nervose.
La Gluteina è una proteina solubile in alcali, ma, quando il pH dell’intestino varia verso l’acido, non è più solubile e quindi non metabolizzabile e diviene una tossina.
Il grano primitivo, il monococco, oltre a contenere uno scarso quantitativo di glutine, era dotato di un perfetto equilibrio dei suoi componenti che impediva alla tossicità del glutine di esplicare un’azione lesiva a livello dei tessuti, come avviene quasi sempre nei prodotti della natura, prima delle trasformazioni indotte dalla moderna tecnologia.
Fino agli anni ‘60 in Italia, soprattutto in Puglia, il grano duro coltivato abitualmente era della varietà Cappelli, di ottima qualità, ma era ad alto fusto e facilmente si piegava verso terra all’azione del vento e della pioggia con una bassa produttività.
Nel 1974 un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito, incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita.
Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia, ogni tipo di pane, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci.
Sono sempre più diffuse le reazioni avverse al frumento: malattia celiachia, reazioni allergiche, intolleranze, difficoltà digestive. Le moderne selezioni hanno modificato questa pianta da cereale, ricco di amidi, ad un’altro con caratteristiche più simili ad una leguminose, per aumentare il contenuto proteico.
Appare fondata l’ipotesi che la modifica genetica del frumento sia correlata ad una modificazione della sua proteina e in particolare di una frazione di questa, la gliadina, la proteina basica capace di indurre l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento caratteristico del Morbo Celiaco. L’aumento dell’incidenza della Celiachia, quindi, (1 caso ogni 100 o 150 persone con una crescita percentuale del 9% all’anno), potrebbe essere anche dovuta anche ai ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano, presente nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, ma occorrerebbe produrre indagini scientifiche ed epidemiologiche accurate.
Il grano che arriva sulle nostre tavole non è soltanto il Creso. Nei prodotti industriali vengono utilizzati anche grani meno costosi, proveniente dai granai dell’Unione Sovietica, del Canada o degli Stati Uniti.
Dal 1992 l’Italia importa circa il 60% della farina dall’America settentrionale e dall’Ucraina. Solo apparentemente le caratteristiche organolettiche di queste farine sono uguali a quelle di produzione italiana perchè il grano deve viaggiare per lunghi periodi, stivato nelle navi o su treni merci. Quindi, oltre ad aver subito durante la coltivazione trattamenti a base di antiparassitari, diserbanti e pesticidi, deve essere ripetutamente trattato durante il viaggio, per evitare la distruzione delle stesse granaglie ad opera di topi e infestazioni varie. Si può facilmente immaginare quali siano le caratteristiche biochimiche del prodotto che arriva sugli scaffali del supermercato e successivamente a contatto con la mucosa intestinale.
Inoltre, la varietà “Manitoba”, importata soprattutto dal Canada e dagli Stati Uniti, possiede 28 coppie di cromosomi in ogni cellula. Per millenni, nell’ambito del bacino del Mediterraneo e nei paesi limitrofi, si è coltivato frumento e varietà dello stesso, con un corredo cromosomico pari a 14 (grano antico, spontaneo, siro-persiano) o, come nel farro, 42 cromosomi per cellula. Questa variabilità genetica potrebbe contribuire a scatenare reazioni allergiche, disordini immunitari, intolleranze al frumento.
A cura di: Diana Gallone
Tratto dal sito Sara Farnetti (la vera storia del grano)