Le sementi siciliane contro le multinazionali

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Il seme della rivoluzione siciliana è un chicco di grano ed è stato piantato, metaforicamente, qualche tempo fa ad Enna da centinaia di agricoltori, allevatori, mugnai, panificatori, ma anche scienziati, comunicatori e docenti universitari che, riunitisi nella sala dedicata a Cerere, dea della Terra, hanno approvato l’atto di fondazione di “Simenza”. Una “compagnia siciliana di sementi contadine” convinta che “la rivoluzione parte dalla terra” e che si batte per proteggere la varietà delle coltivazioni siciliane dall’egemonia delle multinazionali. Si tratta della prima, grande, associazione dedicata alla tutela del patrimonio di biodiversità dell’isola, che raccoglie al suo interno una grande e variegata schiera di “rivoluzionari” che hanno eletto a presidente il “guru” dei grani antichi siciliani, Giuseppe Li Rosi. “La nostra biodiversità rappresenta il 25% di tutta la biodiversità europea – ricorda Li Rosi – quindi è un dovere, ed è anche logico, che si difenda questa ricchezza”. “Simenza” non sarà solo un presidio culturale, ma anche, e soprattutto, uno strumento di sviluppo: “Sarà anche un incubatore di impresa – aggiunge il neo presidente – sarà costituita una rete per mettere sul mercato, innanzitutto siciliano, tutto quello che la Sicilia produce, nella massima trasparenza, consegnando a chi mangia un cibo che sia salubre e che sia energia estratta dal pianeta e consegnata ai terrestri che la abitano”.
In rappresentanza della provincia di Messina fanno parte del nuovo movimento le associazioni “La Spiga” di Gioiosa Marea e “Terre di Gazzana” di Longi, oltre alla aziende “Agriturismo La Porticella” di Patti, che fa parte anche del consiglio direttivo, e “La boutique del pane” di Tommaso Cannata, di Messina.
Tra i sostenitori dell’iniziativa anche i musicisti Pippo Barrile e Giana Guaiana, e la chef di fama internazionale Bonetta dell’Oglio, fondatrice del movimento “La rivoluzione in un chicco” che punta proprio a tutelare la coltivazione dei cereali in Sicilia contro le leggi omologanti della Comunità Europea. “Sperimento i grani antichi da 5 anni – ricorda la chef – e ho dimostrato che si può fare di tutto con la biodiversità locale”. “La rivoluzione in un chicco” ha fatto scosso l’alta cucina siciliana, e non solo: “oggi chef della portata di Cuttaia, Nico Romito che ha presentato una pagnotta di perciasacchi, i massimi esponenti dell’alta cucina italiana accedono al grano antico siciliano” ricorda la chef, che ha preso un impegno ben preciso: creare una corporazione di cuochi siciliani per difendere la biodiversità dell’isola.
La nuova agricoltura siciliana, si conferma, dunque, oggi più che mai, un mondo variegato e variopinto, dove convivono sapere antico e tecnologia, artigianato e spiritualità. E sono molti, sempre di più, i giovani che decidono di fare della “vita di campagna” un modo di vivere e un modello di business. Ce lo conferma Josephine, che dopo aver girato in lungo e in largo, da Milano ha seguito il suo amore fino in Sicilia, a Nicosia, dove oggi alleva capre girgentane da cui produce latte e yogurt, rigorosamente bio, e sta lavorando per riconvertire l’azienda di famiglia all’agricoltura rigenerativa secondo i principi della permacultura, nel rispetto della natura e di chi la abita.
Josephine, come moltissimi siciliani, insieme al grano, alle capre, ai pascoli e alla terra è “simenza”: seme di una Sicilia nuova che crede in un futuro migliore, capace di scrollarsi dal suo secolare torpore. E se la rivoluzione passa dalla terra, questa rivoluzione è già cominciata.
Fonte: (Anni 60 News)
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